“Bulbo Matto” non solo navigazione…

Cari amici, continua la nostra avventura…

Cumberlad bay
Comunicazione del 10 marzo 2014

 
Dopo già quasi un mese di turismo, civiltà, urbanizzazione e natura, certo magnifica, ma parecchio "condivisa", questa baia quasi deserta, praticamente selvaggia, con intorno un anfiteatro lussureggiante di verde anzi di "verdi" di tutte le sfumature possibili, è un salutare ritorno al primitivo.
Ci si sente quasi dei pionieri, ad entrare qui, tra due banchi di corallo affiorante, scortati dall’immancabile "boat boy" sorridente che ci guida all’ormeggio, ancora a prua e cima lunga alla palma più vicina, per poi offrirci frutta fresca, cena al ristorantino, pesce quando c’è e la gita alle vicine cascate Dark View Falls, nel pieno della foresta pluviale.
Che sia un posto speciale lo dimostrano due barche da vero "popolo del mare" che stazionano qui, ci dicono, da settimane, stracariche di pannelli solari, bidoni, vele, cordami, provvigioni e attrezzature varie ancorate ovunque in coperta, con a bordo un numero imprecisato di adulti e bambini.
Andati via i boat boys, comprata frutta tropicale varia e pomodori, concordati costo e orario della gita per l’indomani, la pace ritorna questa volta assoluta, il silenzio totale, nessuna radio, voce o motore inopportuno, mentre il tramonto si approssima perfetto.
Ci coccola l’atmosfera magica, solo il mormorio del mare sulla spiaggia, la brezza morbida che cala nella sera, il volo e il verso degli uccelli, i pesci che saltano, qualche gallo in lontananza, e naturalmente quella sorta di suono metallico che offrono i grilli di queste parti..
Mi viene voglia di stare qui a tempo indeterminato, sto acquisendo forse anche io il ritmo vero dei Caraibi?

Il popolo del mare – 2
Comunicazione del 10 marzo 2014

 
Tom e Jan meritano un blog tutto per loro. Di storie così non se ne incontrano molte. Americani del nord-ovest, da giovani sposi per 9 anni hanno speso serate e weekend a costruirsi la loro barca, o per meglio dire il loro sogno di vita, nel cortile di casa, come in certi libri di avventure.
Tom, carpentiere e saldatore, se l’è fatta in ferrocemento, cioè in cemento armato spesso 4 cm, con dentro un’armatura di filo di acciaio sagomato a forma di carena. E poi la cabina di legno sopra, due alberi, gli interni, gli impianti, le vele, ecc ecc. fino allo scalo per il varo, nell’88. Tutto lui e Jan. Anche i pezzi speciali dell’attrezzatura, disegnati e fatti fondere in bronzo.
E poi via, prima le acque di casa, Canada, Alaska, Oregon. Poi il Pacifico, le Marchesi, le Figi, le Tuamotu. La Nuova Zelanda. L’Australia. Si fermano a Guam, base e territorio americano, per lavorare 12 anni. Poi Filippine, Malesia,  l’Indiano, il Sud Africa, l’Atlantico, il Brasile e adesso, solo adesso, i Caraibi. Sempre con la loro barca di 12 metri e 18 tonnellate, sempre con lo stesso motore dell’88 da 18 cavalli..
Praticamente ne so più io di loro, di queste isole. Posso ricambiare i loro racconti infiniti con qualche consiglio locale: di godersi st. Vincent finché possono, verde e selvaggia. Di evitare scali troppo turistici e costosi. Di puntare piuttosto su Dominica e Barbuda.
Forse ci ritroveremo a Panama a maggio. Vorrebbero chiudere il giro, per i 70 anni di Tom, lasciare la barca della loro vita e ritirarsi al caldo, a Guam, in una casa a prova di cicloni, senza meteo da ascoltare ogni giorno, senza ancore da controllare ad ogni ormeggio, senza manutenzioni, controlli e riparazioni continue..

 

 


Articolo pubblicato il 11 marzo 2014, Palermo.

C.C.R.L.

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