La Storia ….

Mentre Ruggiero incrociava con la sua flotta nel canale di Sicilia, intercettò, una tarida dei francesi dal cui capitano venne a sapere che la flotta francese era in agguato nel porto di Malta. Dopo una rapida navigazione la flotta aragonese giunse sul far del tramonto in vista delle navi angioine. L’ammiraglio inviò, allora, un suo schifo (imbarcazione da corsa lunga e sottile, per un solo vogatore) per avvisare i comandanti nemici che alle prime ore dell’alba avrebbe attaccato la loro flotta annientandola. Gli angioini, per nulla turbati dalle parole dell’avversario, anzi, decisi a punire la sua baldanza, attesero l’alba e l’assalto, riversando sulla nave ammiraglia di Ruggiero tutta la forza del loro armamentario.
Quest’ultimo, per nulla intimorito da quel fuoco d’inferno, non rispose interamente al lancio dei provenzali, ma fece in modo che esaurissero le scorte d’arma, indi solo a mezzogiorno lanciò l’assalto al grido di “Aragona”, prima riversando sugli avversari, ormai stanchi, i proiettili da lancio, poi speronando di fianco, con abile manovra, le loro navi, rompendone i remi, sicchè non poterono sottrarsi all’arrembaggio degli almogaveri, le sue terribili truppe d’assalto, che in quella circostanza, parvero agli avversari non uomini ma diavoli usciti dall’inferno. La battaglia di Malta fu la prima vittoria navale di Ruggiero che permise al gran capitano di affondare diverse galee provenzali, ormai non più in grado di navigare e di prendere un gran numero di prigionieri, subito giustiziati sul posto.
Anche il Quintana, che non fu certamente ostile né agli aragonesi, né a Ruggiero, ha sottolineato che spesso l’ammiraglio riservava ai prigionieri trattamenti inumani, dimostrando un’autentica crudeltà e giustificandola in parte con le terribili abitudini della guerra del tempo, sarebbe meglio dire di ogni tempo: “Dispiace che a tanto grandi e belle qualità facesse contrasto la durezza barbara che le distruggeva; il suo forte cuore di tigre lo portò a non perdonare mai, ed abusando della sua superiorità sui vinti e sui prigionieri, si rese indegno delle vittorie che conseguiva. Può scusarsi in parte questo suo grande difetto con la ferocia dei tempi in cui visse“.
Carlo d’Angiò, avuta notizia della rotta di Malta subita dai suoi, col proposito di vendicare l’onta della sconfitta, assoldò naviglio e marinai pisani e genovesi fino a mettere insieme una flotta di 150 navi, contemporaneamente, temendo le incursioni aragonesi, dispose la costruzione di torri a mare lungo tutta la costa del regno meridionale, ancora oggi visibili, che costituirono il sistema difensivo costiero degli angioini. Malgrado le torri, edificate a difesa e pronte a segnalare coi fuochi la presenza delle navi aragonesi, la flotta del gran capitano, pur inferiore di numero, (disponeva infatti solo di una trentina di galee e di  poche altre navi leggere), effettuando rapide e frequenti incursioni lungo le coste calabresi e campane, distruggeva e saccheggiava i centri rivieraschi.
Il coraggio e l’ardire di Ruggiero lo spinsero un giorno, con improvvisa incursione, forzando il blocco delle navi nemiche, a penetrare nel porto di Napoli per snidare l’armata angioina attirandola al largo. L’ammiraglio, tirandosi dietro la flotta nemica con tutti i cortigiani, a dire il vero, non molto pratici della navigazione, inizialmente dette l’impressione di volersi sottrarre al combattimento, poi, attestandosi nei pressi del golfo di Castellamare di Stabia e ponendosi il sole alle spalle, scelse per i suoi la posizione più favorevole. Poco dopo, esortati i suoi, dette l’ordine di procedere contro le navi angioine sommando la forza dei rematori a quella del vento e delle vele.
L’esito dello scontro fu disastroso per la flotta di Carlo che, con il sole di fronte, fu costretto a subire la strage dei suoi. Prede di Ruggiero in quella giornata furono, la capitana angioina e altre nove galee, nonché un gran numero di nobili condottieri e di cortigiani, dei quali questa volta l’ammiraglio accolse la resa con il proposito di ottenere un consistente riscatto e di usarli eventualmente come merce di scambio. In effetti, per poter continuare la guerra, gli aragonesi avevano bisogno di molte sostanze: è risaputo che il denaro fa la guerra. Ed esso difettava particolarmente a Ruggiero che, trovandosi lontano dai suoi centri di approvvigionamento, si vide costretto a compiere autentici atti di pirateria contro le popolazioni costiere, in ogni caso operando non diversamente da tanti e nobilissimi condottieri di navi inglesi, compreso il grande Nelson.
Mentre re Carlo concentrava nel castello di Melfi tutti i nobili del regno meridionale per fronteggiare i ripetuti assalti di Ruggiero, la fortuna venne a lui in aiuto dall’esterno. Infatti, il re di Francia, Filippo III l’Ardito, per accordi intercorsi con il papa Martino IV, aveva assalito il regno di Aragona con il suo enorme potenziale di 150 galee e di oltre 100.000 armati.
Pietro III, suo malgrado, si indusse a richiamare in patria precipitosamente Ruggiero con tutte le sue forze per fronteggiare l’assalto francese. In questa occasione rifulsero maggiormente la forza e le straordinarie qualità strategiche del gran capitano, il quale dette prova di muoversi con straordinaria abilità sia per mare che per terra.
Andato alla caccia della flotta francese, composta di ben 50 galee, la incontrò poco a nord di Barcellona, ingaggiando un combattimento che durò fino alle prime luci del giorno successivo, col risultato che 54 navi tra provenzali e napoletane caddero nelle sue mani. I cronisti dell’epoca, soprattutto quelli di parte spagnola, esagerando un po’, parlarono di un’autentica debacle dei francesi, i quali, dopo aver perso nella battaglia 5000 uomini e 68 navi, si videro costretti a chiedere una tregua. Narrano sempre i cronisti che Ruggiero rispose agli inviati del re di Francia che egli non avrebbe concesso nessuna tregua né a francesi e né a provenzali, che anzi, quando uno degli invitati del re lo ammoniva che lo stesso era pronto a mettere in mare una flotta ben più poderosa di quella persa a Barcellona, lo gelò con queste parole: “Sappi che senza esplicito permesso del mio re non può attraversare il mare non una squadra,ma nemmeno una sola galea, e che perfino i pesci, se vogliono mettere fuori la testa dall’acqua, debbono premunirsi di una corazza con gli stemmi di Aragona”.
Poi vi fu la ritirata disastrosa dei francesi, incalzati senza pietà dagli almogaveri di Ruggiero, i quali durante la marcia, a causa di una pestilenza scoppiata nell’esercito in marcia, persero il loro re che, come dice Dante nel VII canto 97 del Purgatorio, finì allora in modo inglorioso, “fuggendo e disfiorando il giglio” di Francia.
Ma neppure l’esito favorevole della guerra riuscì ad evitare una morte crudele al suo avversario. Anche re Pietro, infatti, dopo aver abbandonato il campo di battaglia, assalito da febbre maligna, uscì di vita all’età di 46 anni, lasciando i suoi 3 figli Alfonzo, Giacomo e Federico a contendersi il regno e il possesso della Sicilia che, dopo la cacciata dei francesi era diventata possesso aragonese, anche se a dire il vero poco saldo perché preteso sempre dalla Chiesa e dagli angioini.
Per consolidare la conquista dell’isola e per far conoscere alla moglie Costanza e ai figli le disposizioni testamentarie del re, Ruggiero ritornò in Sicilia con le sue navi; ricevendo poi dalle mani di Alfonso, succeduto al padre, la nomina di “Ammiraglio di terra e di mare di tutte le forze angioine e siciliane”. Incarico che egli ebbe sempre modo di onorare nel migliore dei modi, prima respingendo nella piana di Augusta gli angioini che avevano invaso la Sicilia meridionale, poi infliggendo una definitiva sconfitta navale nella battaglia di Castellamare (1287) alla flotta franco-pontificia che nell’occasione consegnò, in segno di resa, nelle mani di Ruggiero gli stendardi della Chiesa e di Napoli.
La storia successiva del grande ammiraglio non fu meno gloriosa, anche se egli non sempre seppe muoversi con abile strategia diplomatica tra gli eredi di re Pietro che, con la loro condotta finirono con l’indebolire la forza aragonese. Giacomo Racioppi in una pagina della sua Storia dei popoli della Lucania, così sintetizza la figura e le gesta del gran capitano: “Ruggiero di Lauria, celeberrimo uomo di mare del secolo XIII, grande ammiraglio di Sicilia e di Aragona, sotto Pietro, Giacomo e Federico, aragonesi, re di Sicilia, battè tante volte, che è difficile ricordarle tutte, provenzali, francesi e pugliesi della flotta di Carlo d’Angiò, nelle Acque di Napoli, di Malta, di Sicilia, di Linguadoca, di Catalogna. Una volta nel golfo di Napoli, accerchia, vince e fa prigionieri con mezza flotta il fiore dei suoi baroni, il vicario del regno, figliuolo di Carlo d’Angiò, in due altre grandi battaglie prende prigioni, con un numero sterminato di conti e cavalieri, due altri ammiragli del Re di Francia, che vi perdono quasi intero il naviglio”, definendo un ritratto complessivo dell’ammiraglio che “spargendo dovunque, temuto e famoso il suo nome, e mostrando sempre e dovunque ardimento, prontezza, sagacia, iniziativa, genio misto a prepotenza, a cupidigia e ad asprezza, anzi a ferocità di un animo fortissimo, fu il più grande uomo di mare dei mezzi tempi fino a  Doria (ivi)”.
Così anche noi preferiamo ricordarlo sottolineando di quest’uomo “di valore inestimabile” (come lo ricorda Boccaccio nella novella già citata) la forza, il coraggio e la lealtà, proprio di chi visse in una svolta decisiva della nostra storia, allorché in un clima da epopea i tradizionali valori del feudalesimo e della cavalleria si incontravano con la vita attiva delle arti.
Un particolare ringraziamento a Javier Fernandez Saiz (Javi) che mi ha dato lo stimolo per questa entusiasmante ricerca, dedicata a lui ed a tutti i soci del nostro Circolo Canottieri Roggero di Lauria!

      Guido Ajello

 

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